Madonna, voglio vedervi danzare
di Paolo Gallori, da Kataweb Musica
Con Confessions On A Dance Floor, in uscita mondiale l'11 novembre, Madonna ha tutte le intenzioni di vivere un inverno da protagonista assoluta delle piste da ballo. Lo sarà anche delle classifiche? La risposta non è scontata. Il disco è totalmente votato al ritmo che scuote il corpo, pallide vestigia di forma canzone fluttuano in lunghe digressioni a base di beat e atmosfere elettro, stilemi e soluzioni attinte dalla storia della disco music, neanche una ballata per tirare il fiato. Un lavoro radicale, da guardare da più angolazioni dopo averne esaminato la sostanza musicale.
Raramente capita di ritrovarsi nel lettore un singolo in grado di dire tutto, ma proprio tutto, dell'album che lo seguirà. E' il caso di Hung Up. La disco pulsa nella sua classica cassa in quattro, l'icona degli Abba ritorna con la citazione di Gimme! Gimme! Gimme!, avvolta dall'elettronica figlia della moderna sensibilità del produttore e deejay londinese Stuart Price nonché di Anders Baggae e Peer Astrom del Murlyn Music Collective. Disseminato nell'album si ritrova il nuovo contributo di Mirwais Ahamadzai, l'uomo dietro Music, e di Joe Henry, che proprio per quel disco scrisse con la popstar Don't Tell Me. Infine, il duo Bloodshy & Avant.
Madonna mette il mondo in "pause": "Il tempo scorre così lento, non ho granché da fare...non preoccuparti per me, io volerò via...ogni piccolo dettaglio resta sospeso...". Hung Up apre l'album e sfuma nel rintocco di una sveglia. Non c'è soluzione di continuità sonora, proprio come avveniva in tante produzioni disco. Si è proiettati subito nell'ascolto di Get Together. Madonna canta con voce filtrata un intro che si insinua nel dormiveglia e stavolta cita il presente facendo sua la stessa frase ritmica alla base di One More Time dei francesi Daft Punk. "Tu credi che possiamo cambiare il futuro? Credi che io sia in grado di farti sentire bene? C'è troppa confusione...".
"Je suis desolée...sono spiacente...perdoname...". Madonna chiede scusa in più lingue all'inizio di Sorry, trionfo di ritmo in 4/4 e tastiere vintage. "Non voglio ascoltare, non voglio sapere...ti prego, non dirmi che ti dispiace, ti prego, perdonami". Future Lovers è il miglior esercizio di stile di Mr Ahmadzai. Il produttore franco-iraniano si tuffa nel passato e ritorna stringendo tra le dita la serratissima e sintetica ritmica che Giorgio Moroder disegnò in I Feel Love per Donna Summer. E' proprio vero, anche il sesso non ha età. "Dimentica i tuoi problemi...vieni con me...ti va di provare?".
"Ti racconterò il luogo a cui appartengo...". I Love New York è soprattutto il suono di un violino che a colpi d'archetto in stile Eleanor Rigby introduce Let It Will Be. Le assonanze con i Beatles finiscono qui. La frase del violino resta sullo sfondo dell'inesorabile cassa in quattro. Altra operazione di recupero è Forbidden Love, dove fa il suo ingresso il vocoder, il filtro elettronico per la voce reso immortale dai Kraftwerk, e una nostalgica punteggiatura elettronica alla D.D. Jackson (chi ricorda Meteor Man?).
Jump , frutto della nuova collaborazione di Madonna con Joe Henry, è il vero inno del disco, viste anche le dichiarazioni della popstar, intenzionata a "far saltare tutti sulla sedia". Un elettropop minimale anticipa la solita cassa in quattro e un ritornello trascinante. "Sono pronta a saltare...preparati a saltare...devi solo prendermi la mano...". E nel caos risuona da lontano anche lo stilema tutto disco di un quattro quarti scandito dal charleston aperto (chi ricorda Cerrone's Paradise?). La musica non cambia in How High, dominio incontrastato di vocoder, tappeti elettronici e ritmo che spacca gli accenti.
Cambia invece in Isaac, che tanto ha fatto arrabbiare i mistici d'Israele. I rabbini vi hanno letto una blasfema e mercantile citazione del pensiero di Isaac Luria, che nel XVI secolo rivoluzionò lo studio del misticismo ebraico attraverso la Kabbalah. Ticchettio di sottofondo, la voce di un violino ed ecco la cassa che pompa ritmo mentre si libra il sample di un lamento melismatico. Nel finale, lo spoken word in lingua yiddish di Yitzhak Sinwami, rabbino del London Kabbalah Centre, frequentato abitualmente da Madonna assieme al marito, il regista Guy Ritchie. Sembra una preghiera e solo Madonna avrebbe potuto avere l'ardire di trasformarla in dance, aggiungendo un testo che suona d'antico testamento. "Risorgi dalle tenebre...gli angeli invocano il tuo nome...sarai mai più lo stesso?".
Chiusa la parentesi mistica, Madonna apre uno squarcio su una disturbata carnalità. "Tu mi spingi ma io non apprezzo...continui a spingere come nessuno, a ogni mio respiro, a ogni mia mossa, tu spingi...". Ancora una citazione, meno immediata eppure palpitante nella mente: il synth caratterizza il pezzo con due accordi che semplificano il riff iniziale di Shock The Monkey di Peter Gabriel. La bella e la bestia...
Dodicesima e ultima traccia, Like It Or Not. Un morbido arpeggio si dissolve presto in un'oscura pulsazione tipicamente 70's. Eppure, attraverso le sonorità digitali sembra di distinguere i germi del polveroso incedere blues di On The Road Again dei Canned Heat, non a caso furono "rivisitati" dagli spaziali ed elettronici Rockets a fine anni Settanta. "Ti piaccia o no...tu sei il serpente, io il frutto che devi cogliere...".
Quali riflessioni suscita Confessions On A Dance Floor? Il primo piano di osservazione è concettuale e necessita di una breve introduzione storica. Prima di diventare un fenomeno commerciale e di costume internazionale, cos'era in America la "disimpegnata" disco music di fine anni Settanta? Una via di fuga. Il Grande Paese viveva sulla sua pelle gli effetti di un'economia avvitata su se stessa a causa dello shock petrolifero del '74. E guardava con forte preoccupazione all'ascesa degli ayatollah in Iran nell'ottica dello scacchiere mediorientale.
L'America non era in guerra, ma fu il fallimento di un bliz militare, ordinato dal presidente democratico Jimmy Carter per liberare gli ostaggi americani dell'ambasciata Usa a Teheran, il colpo di grazia all'amministrazione da lui guidata. Si entrava così negli "edonistici" anni Ottanta del repubblicano Ronald Reagan. Venticinque anni dopo l'America è in guerra, il vuoto lasciato dalle Torri è sempre una ferita aperta, il fondamentalismo non è più una minaccia ma realtà e non è ancora stata trovata una dignitosa via d'uscita dalla trappola irachena.
Ecco allora Madonna gettare alle ortiche la mimetica e il basco, simboli del precedente American Life, tingersi i capelli di rosso, indossare un completino fucsia e invitare tutti a seguirla sul dancefloor. La discoteca torna a farsi guscio, come 25 anni fa, di un'umanità desiderosa di staccare la spina del pensiero, di riscattarsi dalle miserie del quoitidiano abbracciando il linguaggio del corpo, di lasciare ai muscoli piena libertà di assecondare il battito primordiale alimentato dal deejay, di esaltare il richiamo del sesso che unisce i corpi. Let it will be... Da questo punto di vista, Confessions On A Dance Floor non è una delle tante operazioni nostalgia che popolano oggi il mercato, ma un messaggio in bottiglia lanciato nel mar morto delle illusioni: Last night the deejay saved my life...
Osservando il disco sotto un'altra luce, Confessions On A Dance Floor non sfugge all'idea di un affresco sonoro quale tributo a una stagione breve e intensa che iniettando ritmo nel mondo ha cambiato non soltanto il senso della musica da ballo, ma l'intero universo del pop. Tra i protagonisti di quell'universo, nei reaganiani anni Ottanta, c'era proprio Madonna Louise Ciccone. Dove avrebbe attinto, la futura popstar planetaria, allora bambolina ornata di pizzo, i ritmi sintetici di Holidays, Like A Virgin e Material Girl senza la fresca eco dei sintetizzatori di Giorgio Moroder?
Ma una sovrastruttura concettuale con un suo perché e l'idea del tributo non disinnescano un'ultimo interrogativo. O meglio, un sospetto. Madonna rinuncia alla canzone, a ogni slancio puramente pop, si rifugia nel ritmo e nel gusto delle sonorità sapientemente cucite dal suo team. Una scelta radicale, come dicevamo all'inizio, oppure una intelligente mossa con cui occultare i sintomi di una prolungata crisi di ispirazione? Chi ricorda l'ultima canzone di Madonna che ha lasciato davvero il segno? La cassa in quattro fa ribollire il sangue, scuote i sensi. Spegne ogni pensiero fastidioso e ogni preoccupazione. Spegnerà anche quelle del pubblico di Madonna?
Ai Village People l'ardua sentenza.